Quasi due anni fa, quando Cara arrivò
alla prima stazione del suo interminabile viaggio da incubo, stremata, col gelo
nel sangue che le lanciava addosso brividi pungenti come spilli, pallida, vuota
e col viso scavato provò un minimo sollievo solo nel momento in cui,
nell’attendere quel maledetto treno, seduta su una panchina di ferro così tanto
scomoda e ostile, udì alcune soffici note. Si voltò e non molto distante, un
turista qualunque, seduto davanti ad un pianoforte, messo lì poeticamente senza
senso, stava componendo una musica dolcissima, calda e rassicurante. Era di una
bellezza indescrivibile e quelle note le strappavano il cuore già martoriato ma
non poteva non fissare le sue dita scorrere veloci senza alcun intoppo.
Totalmente ammaliata e rapita.
Qualche tempo dopo lesse che in molte
stazioni sparse per il mondo la moda del pianoforte messo a disposizione di
chiunque stava dilagando eppure non ebbe mai più la fortuna di vederne uno.
Era il primo addio, era il primo
pianoforte nella prima stazione.
Oggi, dopo quasi due anni, Cara si
ritrova per caso in un’altra stazione. La stazione. Quella in cui, dopo
l’abbandono, arrivò e di colpo svenne.
Sta camminando tranquillamente, sola e
con il suo panino morbido e un libro cucitole addosso.
In lontananza vede un pianoforte e un
ragazzo che lo suona.
Si avvicina e fagocitata dal
rumore assordante di annunci al megafono, schermi a tutto volume e
vociferare di un numero indefinito di passeggeri distratti, avverte che quelle
note sono quasi impercettibili e le udirà solo chi avrà più cuore che fretta.
Il destino è strano. Il ragazzo sta
suonando Yann Tiersen. Cara ama incondizionatamente Yann Tiersen e le ricorda
tanto, tutto, anche quella prima stazione, quell’addio indelebile, quel primo
pianoforte.
Il destino è beffardo, si.
In silenzio religioso davanti a quel
prodigio, che sembra accarezzare il pianoforte più che suonarlo, si rende conto
che la melodia è malinconica ma non triste, che quella stazione è di nuovo sua
e non più della memoria sofferta e che ora l’addio è lei a darlo ed è
definitivo.
Stesso ambiente, stesso strumento,
stessa poesia per due momenti così paradossalmente identici eppure opposti
nello spirito e nel tempo.
"Il pianoforte è riapparso proprio
quando doveva riapparire"- ha pensato Cara, andando via
«Come tutti gli esseri senz’anima, non potete sopportare chi ne ha troppa.
La gente sana detesta i malati. Chi è felice non può vedere chi soffre. Troppa
anima! Che seccatura, no? Allora si preferisce chiamarla malattia: e tutti sono
in regola, contenti».
Albert Camus, “Caligola”.
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