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lunedì 11 ottobre 2021

Meglio accelerare

 Era tutto così strano, stamattina. Il freddo di Dicembre ad Ottobre, il cielo conteso tra sole, nuvole scure e gocce pesanti. Un arcobaleno prepotente seppur pallido. I palazzi illuminati a metà che sembrano fluttuare. I volti addormentati nelle macchine dirette verso i doveri quotidiani e i pensieri ancora anestetizzati dal respiro profondo di corpi che hanno ripreso a carburare da poco. Quando il respiro si farà faticoso, vorrà dire che i pensieri avranno ritrovato lucidità e non vedremo l’ora di riaddormentarci perché crediamo sempre di essere soli nel dolore ma siamo proprio tanti e tutti simili. Siamo molto più soli nella serenità.

Ed il traffico non fa rumore, poco dopo l’alba. Forse un empatico accordo non deciso perché poco dopo il sonno ancora non si è troppo aggressivi.
Sono sempre indecisa se ascoltare un po’ di musica o no. Penso a chi mi manca, a chi voglio vedere e sentire e nell’arco della giornata prendo l’impegno con me stessa di pareggiare ogni conto perché se domani dovessi morire voglio che tutto sia chiaro.
E conto i giorni che mancano all’ultimo anelito di Maggio e mi sembrano tantissimi e forse va bene così perché questa voglia di arrivare alla fine non è vita. È tempo che perdiamo. E allora mi sforzo di trovare il buono anche nelle giornate come questa. Giornate infinite, macigni enormi, tracce di vuoto nel cuore.
Arrivo a lavoro e sempre, prima di scendere dalla macchina concedo agli occhi una carezza di rimmel e minuti di assoluto silenzio e profondi respiri.
Poi puntualmente mi chiedo: come è possibile parlarsi e non capirsi?

Accelero il passo prima che il cuore abbia il tempo di rispondere.




giovedì 13 maggio 2021

Saved by a woman

 

Qui le note sono capelli lisci e lucidi e con qualche nodo.

Qui le note sono sorrisi in cui si legge tutto ciò che si sarebbe potuto e si sarebbe voluto.

Qui le note sono il non esser stati amati come si doveva e l’essersi persi.

Qui le note sono il non essere ancora riemersi del tutto.

Qui le note sono diffidenza e paura. Opinioni fragili.

Qui si suona un po' di rassegnazione.

Qui si suona l’accontentarsi perché poteva andare peggio.

Qui le note parlano di non sapere più costruire e la paura di imparare di nuovo.

Qui gli accordi parlano di fascinosa sciattaggine ed uno sguardo perennemente sulla difensiva.

Occhi spalancati a controllare tutto.

Una paura antica. Solitudine. Radici da cui ci si è scostati.

Qui gli accordi sono reti spinate che dividono da chi vorrebbe scrivere un nuovo capitolo.

Qui c’è un muro. Da questa parte si sa cosa c’è di là. Dall’altra parte non si sa cosa ci sia di qua e non lo si saprà mai.

Le occasioni perse come i treni belli come l’orient express. Non tornano e se torneranno noi saremo su altri binari.

Odore di pasta frolla e digestivo. Disegni infantili su corpo acerbo che ha bruciato ogni tappa, bruciandosi anche l’anima.

Qui le note ripetono che nessuno può salvare nessuno.

L’amore dura anche poche ore o una manciata di giorni.

Qui si canta l’incontro, non la durata.

Qui si ride in faccia al caso. E’ tutto un incastro perfetto.

Anche il salvifico addio.


https://www.youtube.com/watch?v=k3pltmw6cmI

domenica 11 aprile 2021

 Il traffico ti snerva, le borse pesano. Non respiri per via dell'allergia e della sinusite ormai invalidante. Dormi male la notte. Ti svegli già stanca. Hai orari sballati. Mangi mediamente male. Lavori molto e con impeccabile rigore. Inali poco ossigeno e ciò ti causa giramenti di testa continui. Hai spesso la nausea e la cervicale ti dà problemi, tanto che spesso barcolli. Fino allo scorso Giugno non ti sentivi i tuoi anni. Dallo scorso Luglio ad oggi li senti tutti ed anche qualcuno in più. All'improvviso ma non senza un perché. Iniziano a pesare alcune convenzioni sociali e hai scoperto un capello bianco. Strappato subito via. Usi il contorno occhi di cui non avevi minimamente bisogno fino ad un annetto fa. Non sei più solo figlia ma anche un pò mamma di chi ti ha regalato il lusso di poter esser solo figlia per molto tempo, fin troppo. Ti è andata di lusso. Hai deciso che chi vuole esserci deve esserci completamente e non a metà e tagliando via i rami secchi ti sei ritrovata con ben pochi boccioli ma li curi con passione. E se una spina ti punge sanguini per sempre. Hai imparato a ricordarti di elevarti, ogni tanto. A ricordare che sei immersa in cose decisamente piccole rispetto a ciò che è il mistero che ti ha generata e che mescola il mondo e annoda le anime. E quindi ti ricordi di respirare e di allungare il collo piegato in posizioni viziate dai doveri e le ipocrisie. Ti basta un albero, un fiore, una cascata di glicine aggrovigliato al vento per sentirti un poco meglio. La saggezza entra nel corpo con dolore. Come un ago che inietta la medicina che brucia ma guarisce. La consapevolezza invece è prepotente e non arriva avvisandoti ma ti colpisce in pieno viso e rimani stordita per anni. Non deglutisci le pasticche perché non incameri ciò che non può essere preso a morsi, come le braccia o il collo di chi ami quando hai voglia di inglobarlo a te per paura che vada via. Ricerchi la solitudine con la stessa avidità con cui stringi la mano di chi te la tende. Una volta su cento stringi la mano giusta. Ti scotti e non impari. Sei ustionata, ormai. Affascinata dall'ordine e dalla simmetria trovi calma nella sistemazione di piccoli oggetti o di pieghe impercettibili e non lo dici a nessuno perché ognuno ha le sue patologie ma le tue ti appaiono più ridicole. Ti affezioni agli ultimi, ai fragili, agli educati, ai generosi e agli ironici e buoni e la notte ci pensi, a chi sta peggio di te. Ci pensi e ricordi che quando eri piccola il temporale lo adoravi perché avevi il tè caldo di nonna o di mamma e la coperta e i biscotti e ora non hai più quell'età e se diluvia pensi a come farà chi non ha tè e coperta e speri smetta. Hai tutto e sai di non meritarlo. È solo fortuna e ti senti in debito perenne. Non hai mai avuto freddo o fame o sete e sei quasi arrabbiata con te stessa e ti chiedi come girino davvero le cose perché nulla sembra avere senso, ad oggi.

Come mai ti stufi di tutto? Come mai ciò che sai e che sei non riuscirai davvero mai a spiegarlo? Come mai ringrazi sempre tanto? Come mai chiedi scusa? E perché sbagli tanto spesso?
Ti serve una notte di fine luglio primi di agosto in macchina con i finestrini abbassati ed una sigaretta, per stare meglio. Ti serve un caldo non asfissiante, pochi vestiti leggeri e una strada da percorrere senza rallentare. Ti ho percepita leggera, in quei momenti.
Anche il mare mi fa male, dicesti una volta. Lo dicesti bevendo un caffè latte. Mi emoziona a tal punto da farmi male, dicesti. Ti guardarono bevendo, anche loro. Senza sguardo. Loro sono l’onda che cancella l’SOS sulla sabbia.
Ti dimentichi sempre di decontrarre stomaco e spalle e quando te ne accorgi che male che fa. Respira, porca miseria. Respira e smettila di mangiare le unghie ché non hai più sedici anni. Concediti vizi peggiori, semmai.
Quanta paura che hai, tutta racchiusa in un sorso di vino che ti neghi da sempre. Mai il rischio di perdere di vista la realtà ed il controllo per una manciata di minuti. Un lusso per cui non pagheresti mai un solo soldo perché non hai bisogno di perder di vista la realtà. Non ti fa schifo, non ti priva di forti emozioni, non può illuderti più di un breve andar via e tornare un pò più codardi. Ti pieghi di continuo ma come diamine fai a non spezzarti mai? Ma come fai?
Eppure ti ho visto spezzata, talvolta, ma ti sei ricostruita. Mi hai fatto molta paura, ti ho invidiata tanto e mi sono chiesta come possa corpo tanto leggero non volar via al primo soffio di vento. È che sei radicata alla terra come neanche tu immagini e quando ti fermi incantata ad osservare le radici che bucano il cemento io capisco che rivedi qualcosa di te in quell’ostinazione.
Ma davvero duriamo così poco? Un’ottantina d’anni mediamente? Macchine perfette ma di breve durata? Che poi...perfette...ti bastano due finestre che fanno corrente per stare male un mese. Se non fosse vero, che ci spegniamo dopo così poco, sarebbe uno scherzo della natura esilarante, seppur di cattivo gusto. Carne che sparisce? Se dopo non c’è altro giuro che troviamo modo di tornare ed incazzarci con chi ci ha parlato di un “poi” perché non si illudono le persone. Spero per voi non abbiate detto una bugia. E se bugia non sarà, non trovi abbia tutto il senso del mondo anche il solo star qui seduti a guardare il glicine?



domenica 4 aprile 2021

Pasqua 2021

In questa foto, l'alba del giorno di Pasqua. Non dormo e so i mille perché e più tento di tenere gli occhi chiusi più resto sveglia allora mi arrendo e metto su un podcast meditativo che mi innervosisce. Lo spengo. Conto le palline di cristallo che compongono il mio lampadario ma sono infinite e perdo il ritmo e ricomincio da capo. È già la terza volta. Lascio stare. Conto i buchini della serranda ma demordo perché mi pare un'attività idiota. Prendo un libro, leggo una pagina noiosissima e lo chiudo arrabbiata. Mi alzo, vado di là. Un po' di nutella e torno a letto. Ho dimenticato la pipì, come ho potuto! Ormai la trattengo. Scrivo? No. Potrei iniziare ad inviare i messaggi di rito ma poi mi viene il dubbio che debba anche rispondere alla risposta che arriverà. Non se ne esce. Meglio non iniziare proprio. Avrò sonno durante il pranzo e mamma si arrabbierà. Fotografo l'alba perché la immortalo spesso e perché mi sento ancora al sicuro quando il cielo si sveglia prima degli esseri umani e mi piace vederlo sbadigliare prima di chiunque altro. E oggi ho nostalgia delle mie albe francesi e tedesche, di qualche viaggio, di qualche anno in meno, di qualche illusione in più. Ma non ho nostalgia di nessuno. Non c'è una sola persona che mi manchi, al mondo. Chi amo è qui. E non vorrei essere in nessun altro luogo. Forse per qualche ora in un loft a New York, con il letto vicino ad una grande finestra da cui vedo la città fumare ma finita l'alba vorrei tornare qui dove sono ora. Magari potrei giusto fare un salto per la colazione a Lisbona e poi comprare dei biscotti al burro a Parigi ma poi tornerei, ecco. In treno. Il posto accanto a me ed i due davanti vuoti, ovviamente. Gambe stese, valigia su un sedile, lato finestrino, musica nelle orecchie e luce, tanta luce negli occhi. Felpa abbondante col cappuccio perché in treno si gela ed ho sonno. Occhiali da sole. Ma anche stare qui, ora, nella sola città che venero, in un letto da regina con un esserino che respira a 3 centimetri dal mio cuore non è poi così male e tra qualche ora avrò anche un caffè lungo caldo e una fetta di crostata da inzuppare e gli auguri ai miei e lo scambio di pensierini e onestamente non credo di volere altro. Ma ora il sole è già alto, sento i primi rumori della città e la poesia svanisce.