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venerdì 28 agosto 2015

Messaggio in bottiglia

All'improvviso, neanche il tempo di capire dove fossi ed ecco che mi sei  precipitato negli occhi e nello stomaco portando con te luce abbagliante e sana malinconia ed io ti ho seguito. La vera magia è che potevi anche non riconoscermi eppure mi hai sorriso e io ti sono corsa incontro senza sapere cosa avessi nell'animo. Delicati e timidi come i primi raggi di sole del mattino ancora assopito, ci siamo dati appuntamento senza domande ma con scintillìo naturale e fiducia illimitata, senza dolore ma con uno strano intrecciarsi di paure. Tu concentrato su te stesso, io persa. Tu intrappolato in un passato ancora troppo presente, io fuori dalle sbarre del nonsenso, finalmente. Ormai libera. Non era il nostro momento o forse era proprio l'unico istante in cui potevamo unirci e quel che è stato solo le nostre mani lo conoscono  bene. Ho odorato ogni centimetro della tua pelle senza capire e senza domandare. Il tempo mi ha regalato un sogno e anche se ora apro gli occhi noi due continuiamo a vivere in un ricordo che non avrà fine. Due passi, un vicolo, una spremuta, un caffè, una 500 nera, la chitarra, le mie scarpe,due sorrisi e profumo d'estate. Una strada brevissima percorsa insieme senza conoscerci. Ossigeno puro. Portami con te ovunque andrai e nella lieve freschezza del nostro esser stati noi stessi, troverai la casa che ora non hai.
Il calore che ti manca lo conserverò in una bottiglia di vetro finissimo e fragilissimo  la getterò in mare e se le onde vorranno giungerà a te quando più ne avrai bisogno.


https://www.youtube.com/watch?v=nHuko5BCFzA

mercoledì 19 agosto 2015

Neppure dovrei chiedervelo.

Non vi chiedo nulla, proprio nulla, maledetti squali. Vi domando solo il diritto alla vita, alla nostra vita, a godere di chi amiamo, delle nostre famiglie delle relazioni sociali alla base dell'umanità e del suo sviluppo essenziale. Nient'altro che linfa vitale, maledetti ladri di tempo e di energie.
Vi chiedo un lavoro normale che non sia una schiavitù umiliante e denigrante, che non sia assenza di democrazia, che non sia ricatto morale, violenza psicologica, meschinità, falsità, inettitudine, contraddizione. Vi domando rispetto, onestà intellettuale, coerenza. Vi chiedo un compenso adeguato e dignitoso. Vi chiedo di dire grazie quando il lavoro viene svolto bene, incoraggiando il vostro utilissimo servo che sta contribuendo alla ricchezza di quelle tasche luride e bucate. Vi chiedo di non approfittare del vostro misero potere che vi rende tanto piccoli nel momento in cui ne abusate. 
Non state salvando vite umane. Non credetevi i creatori di tutto e tutti. Ricordate che il mondo può fare a meno di ognuno di noi.
Vi chiedo orari umani che diano valore al corpo, alla mente, al privato intimo e sacro.
Così continuando rimarrete, fino alla fine dei vostri miserabili giorni, complici assassini del peggioramento dell'essere umano e del suo impoverimento continuo e penoso. Gli uni contro gli altri su una stessa barca ormai divenuta zattera scomoda e pesante.
Vuoti.Poveri. Assenti e distratti. Automi.
Non incattivitevi, non invidiatevi. State calmi.
Siate consapevoli dei vostri limiti. Siete persone che lavorano per vivere come tutti gli esseri al mondo. Non rendete le cose difficili al vostro prossimo perché la zattera fradicia su cui stiamo affondando è la stessa e non sarete di certo voi, quelli che avranno anche solo una minima speranza di salvarsi.
Leggete di più, scrivete, ascoltate più musica, date attenzioni agli altri, riflettete, non ridete per ogni cazzata ma solo per ciò che vi diverte davvero. Siate voi stessi, non personaggi pacchiani inventati sul momento, a seconda di chi avete di fronte. Sdraiatevi al sole, dormite, cucinate, passeggiate, pregate.
Siate normali. Assolutamente normali. E' un miracolo essere normali e i miracoli esistono.
State zitti. Non parlate a vanvera. Chiudete la bocca, se non servono parole.
Isolatevi, ogni tanto. Non andate alla spasmodica ricerca del caos esteriore per nascondere il disastro che coltivate dentro. Sciogliete i vostri nodi, non abbiate paura di un pò di sana solitudine.
Abbassate la voce. Abbiate personalità, la vostra però. Non tentate di rubarla agli altri. Conservate la vostra e miglioratela. Siate umili. 
Sorridete, ogni tanto. Fatelo, sforzatevi. Non date del pazzo a chi non comprendete.
Non pensate di essere gli unici al mondo a vivere una vita faticosa e frenetica oltre che, molto probabilmente vuota. Ma se proprio volete sentirvi gli unici al mondo, almeno siate gli unici a fare il possibile affinché la vostra  vita sia splendida e piena. Poi insegnate agli altri come fare lo stesso.
Dormite almeno 8 ore al giorno. Affondate il naso tra i capelli della persona con cui fate l'amore e ubriacatevi di lei. Che sia questa,la vostra unica vera droga.
Bevete molta acqua.
Giocate con i bambini e ridete con loro. rispondete a tutte le loro domande e siate curiosi. Sono dei geni,non sottovalitateli.Non dimenticate di fare le coccole ad un animaletto qualsiasi.
Se non farete del vostro meglio per salvare voi stessi ed il prossimo vostro non sarete degni di nulla né ora né mai.

La vita è come un’eco: se non ti piace quello che ti rimanda, devi cambiare il messaggio che invii.
(James Joyce)

domenica 16 agosto 2015

Il tuo valore nelle tue risposte


“Sai, è passato molto tempo, è vero. Ne avverto tutta la pesantezza, dentro e fuori.”

“Si”

“Ma ci sono i sentimenti che penetrano i muri e non cambiano mai, quando li senti profondi nel cuore.”

“Sì che cambiano.”

“No, non puoi proprio sapere di cosa io stia parlando. Non puoi leggere nel cuore di un’altra persona, che ormai non conosci neanche più, e decidere cosa vi è inciso. Scusami ma questo proprio non posso permettertelo.”

“Passerà, vedrai.”

“Non mi interessa che passi, non è questo il punto. Ti ho lasciato volare via, scappare lontano, libero senza catene e mi sono fatta da parte quando me lo hai imposto senza pietà e non ho insistito rispettando la tua intimità ed il silenzio ha stretto la mia gola fino al soffocamento. Ho sopportato tutto questo, sai. Non voglio nessuna medaglia, voglio solo che tu lo sappia perché nessuno mai ha avuto il coraggio di chiederti cosa diavolo stessi facendo. Ho pregato per te ogni mattina ed ogni sera prima del buongiorno e della buonanotte. Ho provato a credere nella telepatìa…che buffa che sono. Ho inviato energie positive, pensieri felici solo per te e perché tutto l’ Universo potesse aiutarmi e aiutarti.”

“Capisco. Sono belle parole, grazie.”

“Grazie? Non ho più nulla da perdere, ora aprirò il mio cuore senza riserve perché questo sarà il nostro ultimo contatto, quindi ti prego almeno di sforzarti di mostrare un minimo di umanità.
Non saprai mai quanto ti ho amato, anche questi anni in cui non una sola volta hai voluto sapere se fossi ancora viva o no. Quindi te lo dico io, ora, quanto ti ho amato e quanto ti amerò ancora, maledetta me.
Hai mai conosciuto quell’amore senza limiti né costrizioni? Quell’amore che difende, protegge, prega, sogna, spera, piange, sorride e invoca il bene dell’altra persona? No, forse non riesci neanche lontanamente ad immaginare cosa sia questo sentimento che nutre e allo stesso tempo indebolisce e trasforma.”

“E’ gentile da parte tua, davvero, grazie.”

“Smettila di dire grazie, è offensivo e umiliante. Non essere codardo, rispondi a queste mie parole.”

“Devi voltare pagina, sorridere alla vita, cercare un’altra storia…la vita è un soffio.
Vedrai, starai meglio”.

“…già,ti ho proprio perso per sempre. Non so più chi sei. Le tue risposte sono così….prive di….”

“Ciò che dici a me lo ridirai a qualcun altro, serve solo del tempo. Ora però sono passati due anni, dai, forza…”

“ Sono passati due anni perché sono esattamente due stramaledettissimi anni che aspetto di sapere cosa sia successo e tu mi consigli di voltare pagina come neanche fossi la mia migliore amica? Ma cosa ti dice il cervello? Ti si è svuotato il cuore? Sono appesa a un fottutissimo filo da tanto tempo, ormai e sto zitta come nessuna stronza al mondo avrebbe la pazienza di stare zitta e tu mi dai preziosi suggerimenti e mi ringrazi?”

“ Cosa vuoi dire? Appesa? Io credevo di essere stato chiaro.”

“ E quando, se non abbiamo mai parlato? Se mi hai sempre rifiutata, se non mi hai mai ritenuta degna di compassione e delicatezza? Solo un chiarimento avevo chiesto. Solo un seppur ridicolo chiarimento nel rispetto di tutte le maledette promesse di cui ti eri riempito la bocca e a cui io avevo creduto.”

“ Ho inviato dei segnali. Forse non sono stati abbastanza evidenti o forse non li hai correttamente recepiti ma io ho fatto e detto quel che dovevo.”

“ Ti sei accertato che i segnali fossero arrivati forti e chiari? Ti sei confrontato in tempo utile? Hai fatto qualcosa per salvare il salvabile? Mi hai resa partecipe dei tuoi dubbi? Io non mi sono accorta di nulla e ho solo subìto la decisione finale oramai irreparabile, a conti fatti da solo, con te stesso.”

“Capisco.”

“Spero solo che lei saprà amarti quanto ti ho amato io perché sarà tanto, ma tanto difficile riincontrare un cuore così grande, credimi. Un amore proprio incondizionato che forse neanche meriti. Stupida io, si, ma eccomi ancora qui.”

“ E’ un pensiero gentile, grazie.”

“ Chissà se saprai mai cosa vuol dire non poter stare accanto ad una persona che soffre e che ami più di quanto ami te stesso e non poterlo fare senza che ti sia stata data una sola ragione valida. Essere allontanato, umiliato, sottovalutato, sottostimato, messo all’angolo senza che tu sappia il perché. Ti assicuro, ci si può impazzire. Diventare d’un tratto trasparente e non meritare uno stralcio di stupida risposta. Bisogna essere davvero forti o si perde il lume della ragione.”

“Starai meglio, vedrai.”

“ Dopo due anni ti degni di dirmi che stavi inviando dei segnali. Ci hai messo due anni, per farmi questa meravigliosa rivelazione! Io ho aspettato e ne avrei aspettati altri dieci. Cos’è, non me lo dicevi perché era una prova, un indovinello? Ero forse sotto esame? Mentre io pensavo che stessimo toccando il cielo con un dito tu stavi pensando a come mettere un punto? Perché non mi hai presa e mi hai parlato: facile, veloce, lineare. Logico. Siamo esseri umani e in ballo c’era una vita insieme e sai bene quanto avrei dovuto cambiare di me per poter seguire te. Ma forse eri troppo intento nel lanciare segnali chiari solo ai tuoi occhi.”

“Mi hai regalato momenti molto belli, non li dimenticherò.”

“…fai finta di non sentire, fai finta di non capire.
Questa è la tua vera risposta, finalmente.
Sono solo felice che tu ora stia meglio, sono sicura tutto si risolverà come tu desideri e mi auguro sarai più consapevole e chiaro, nella tua nuova storia.
Che il lupo ti porti. Buona vita.”


“ Anche a te, tanti auguri.” 


"Vieni, concediamoci quest'ultimo valzer. Guardami e sorridi. Volteggia, volteggia, volteggia, non pensare ma volteggia..."

https://www.youtube.com/watch?v=4VQwQzoGF_o

"(...)Mi piacerebbe che qualcuno ti insegnasse a stare da sola, ti salverebbe la vita. Non dovrai rincorrere la mediocrità per riempire i vuoti, né pietire uno sguardo o un'ora d'amore.(...)" P. Crepet

Mani ( l'epilogo)

Quasi due anni fa, quando Cara arrivò alla prima stazione del suo interminabile viaggio da incubo, stremata, col gelo nel sangue che le lanciava addosso brividi pungenti come spilli, pallida, vuota e col viso scavato provò un minimo sollievo solo nel momento in cui, nell’attendere quel maledetto treno, seduta su una panchina di ferro così tanto scomoda e ostile, udì alcune soffici note. Si voltò e non molto distante, un turista qualunque, seduto davanti ad un pianoforte, messo lì poeticamente senza senso, stava componendo una musica dolcissima, calda e rassicurante. Era di una bellezza indescrivibile e quelle note le strappavano il cuore già martoriato ma non poteva non fissare le sue dita scorrere veloci senza alcun intoppo. Totalmente ammaliata e rapita.

Qualche tempo dopo lesse che in molte stazioni sparse per il mondo la moda del pianoforte messo a disposizione di chiunque stava dilagando eppure non ebbe mai più la fortuna di vederne uno.

Era il primo addio,  era il primo pianoforte nella prima stazione.

Oggi, dopo quasi due anni, Cara si ritrova per caso in un’altra stazione. La stazione. Quella in cui, dopo l’abbandono, arrivò e di colpo svenne.
Sta camminando tranquillamente, sola e con il suo panino morbido e un libro cucitole addosso.
In lontananza vede un pianoforte e un ragazzo che lo suona.
Si avvicina e fagocitata dal  rumore assordante di annunci al megafono, schermi a tutto volume e vociferare di un numero indefinito di passeggeri distratti, avverte che quelle note sono quasi impercettibili e le udirà solo chi avrà più cuore che fretta.
Il destino è strano. Il ragazzo sta suonando Yann Tiersen. Cara ama incondizionatamente Yann Tiersen e le ricorda tanto, tutto, anche quella prima stazione, quell’addio indelebile, quel primo pianoforte.
Il destino è beffardo, si.
In silenzio religioso davanti a quel prodigio, che sembra accarezzare il pianoforte più che suonarlo, si rende conto che la melodia è malinconica ma non triste, che quella stazione è di nuovo sua e non più della memoria sofferta e che ora l’addio è lei a darlo ed è definitivo.
Stesso ambiente, stesso strumento, stessa poesia per due momenti così paradossalmente identici eppure opposti nello spirito e nel tempo.

"Il pianoforte è riapparso proprio quando doveva riapparire"- ha pensato Cara, andando via
con un sorriso appena accennato e il foulard un po’ scomposto.





«Come tutti gli esseri senz’anima, non potete sopportare chi ne ha troppa. La gente sana detesta i malati. Chi è felice non può vedere chi soffre. Troppa anima! Che seccatura, no? Allora si preferisce chiamarla malattia: e tutti sono in regola, contenti».

Albert Camus, “Caligola”.

Mani

Quando Cara gli chiese se la amasse Charlie rispose “non lo so”.
Quella risposta dopo anni di amore e speranza crollò sulle spalle di lei come una grandinata di sassi appunti trafiggendo corpo e spirito. Una risposta inaspettata, surreale, violentissima.
Cara iniziò a piangere lacrime di piombo e la vista appannata aumentò la confusione tutt’intorno. Anche Charlie piangeva, nonostante tutto.
Il  mondo le sembrò finito, per sempre, in quel preciso attimo e Charlie la stava trascinando sul bordo di un baratro spaventoso. Cara voleva solo precipitare.
Le tentò tutte,  ossessionatamente cercò di trovare l’equilibrio del funambolo per non cadere ma quel “non lo so” fu la forza di gravità inarrestabile e malefica.
Cara non era nel suo paese. Sarebbe dovuta tornare dopo alcuni giorni eppure una mano divina, forse quella del suo Angelo custode le diede le ultime forze necessarie per preparare la valigia e salire su quel treno. L’indomani.
La notte prima dell’addio dormirono comunque insieme, mano nella mano, come sempre. Non riuscivano ad addormentarsi altrimenti. Lei avrebbe dovuto odiarlo invece anche nel sonno lo accarezzava. Poche ore buie li dividevano dal loro ultimo saluto.
Il pianto disperato che strozzava la gola, lo stomaco vuoto e i nervi spaccati in mille pezzi le avevano portato una nausea assassina ed ora ogni respiro era un conato. Stava cedendo, quel suo corpo esile. Troppo dolore. Charlie non era più un amico, un complice, un amante. Charlie era un’ombra distesa sul letto i cui contorni venivano esaltati dalla luce della luna che filtrava attraverso gli scuri. Charlie era un profilo, un disegno, una visione. Charlie ora era il nulla.
Quante domande, quante poche risposte. Quanti dubbi coperti ed irrisolti. Quanto silenzio tra di loro, oramai.
Cara svenne.
Charlie con lei.
Fu la prima a svegliarsi, all’alba. Lo guardò ancora, si voltò, scese dal letto e a piedi nudi lo raggiunse al lato suo. Per l’ultima volta passò le dita tra i suoi capelli e sussurrò al suo orecchio “ Charlie, devo andare.”
Lui aprì gli occhi, si guardarono per un soffio di secondi.
Scesero al piano di sotto. Cara corse in giardino, si appoggiò al tronco di un ulivo. Non si reggeva in piedi e il terrore nel cuore era come un cappio al collo.
Charlie restò in cucina e abbandonato su una sedia ricominciò un pianto denso ma silenzioso.
Un amico di Charlie offrì un tè a Cara. Era pallida, fragile, infreddolita nonostante fosse piena estate ed il sole a quell’ora del mattino era già molto alto. Lei lo bevve. Due sorsi. Era alla menta e a lei fa schifo la menta ma non riuscì a dire di no. Le mancava anche il più sordo filo di voce. Si accorse di avere la febbre molto alta.
Charlie si offrì di accompagnarla alla stazione ma lei rifiutò. Il cuore non avrebbe retto un addio davanti ad un treno. Quel treno che l’aveva sempre portata da lui stracolma di amore.
“Cara è tardi, scusami” le disse l’amico. “Ti porto io”.
Cara ormai non parlava più. Chiuse lentamente le palpebre come a dire “andiamo” ma non fiatò.
Mentre l’amico caricava le valigie in macchina Charlie e Cara si guardarono un’ultima volta, si avvicinarono, si abbracciarono, si baciarono. Labbra salate intrise di lacrime.
“Ci ritroveremo, Cara. Deve solo passare del tempo”.
“Promettimelo Charlie, ti prego”.

Cara affrontò un viaggio di tredici ore senza più sentirlo.
Le sarebbe potuto accadere di tutto, nelle condizioni in cui si trovava.
Tornata nel suo paese le corsero incontro due braccia potenti che ebbero la prontezza di sorreggerla. Svenne immediatamente.

Cara e Charlie non si sono mai più incontrati.
Avevano condiviso l’amore che sognavano da tempo ma ora questo amore era finito.
Nessuno dei due capì mai il perché.
Cara tentò di capirlo con tutte le sue forze ma Charlie mostrò sempre troppa paura: forse non avrebbe mai voluto e dovuto prendere quella decisione, forse ora si vergognava, forse sapeva di non riuscire a guardarla di nuovo negli occhi che parlavano senza che la bocca proferisse parola. Forse ora lo sguardo di Cara gli avrebbero solo fatto tanto male e lui non poteva sopportarlo.
Anima troppo fragile, corpo troppo debole.

Cara lo amava talmente intensamente che decise di lasciarlo volare libero nel suo cielo. Libero di cadere, sbagliare, rimpiangere o libero di scappare via.
Lei ora rimaneva al suo posto.


Eppure, negli abissi delle sue sensazioni, una voce le sussurrava timidamente che il suo Charlie ancora la amava e che nessuno avrebbe potuto separare quelle mani impazienti di stringersi forte poco prima del sonno.


Crepe sul soffitto

Ecco, io non ho mai realmente compreso la fobìa- del- vicino- di- casa. Tutti l’abbiamo, ammettilo. Se ce lo ritroviamo in ascensore, poi, quei tre piani quantificabili in una manciata di poveri secondi sono a dir poco una prova decisamente imbarazzante e fastidiosa da affrontare. Si guarda a terra, poi in alto come se il soffitto triste e scorticato dell’ascensore vecchio di 40 anni che il condominio non vuole cambiare, con quella luce fredda al neon, impossibile da fissare, possa rivelarci il futuro, poi si muovono le chiavi come se fosse la prima volta che entriamo a casa  e quindi non abbiamo ancora memorizzato la giusta manovra che aprirà la porta, si guardano le scarpe, una sbirciatina allo specchio ma non troppo altrimenti sembriamo vanitosi e la vergogna non farebbe che aumentare l'imbarazzo generale, e alla pulsantiera. Un respiro tipo sospiro come a dire "che giornataccia, sono assorto nei miei pensieri, non dirmi nulla", un lieve movimento con la bocca che tira le guance all'insù, impercettibilmente, dando vita ad un timido sorriso che nasce un pò spontaneo e un pò obbligato e l'immancabile frase di rito "scusa non ricordo a che piano vai....ah ok, al quarto, io al terzo, allora scendo prima io..." segue sorriso imbarazzato perché questa domanda è sempre la stessa e la risposta è sempre la stessa e mai nessuno dei due memorizza il piano dell'altro: fenomeno paranormale che la dice lunga. Facciamo di tutto per non iniziare una conversazione e per non incrociare gli sguardi. Quasi rimpiangiamo la nonna o, ancora peggio, la vecchia zia che a tutte le feste comandate ci chiede se abbiamo il fidanzatino o la fidanzatina. Se poi i piani da condividere sono almeno 5 i secondi si allungano e preferiamo fare le scale anche se abbiamo l’enfisema, fermandoci ad ogni pianerottolo, perché il fiatone di chi prende la macchina per ogni spostamento pur di non percorrere 200 metri a piedi ha la stessa violenza di un calcio nello stomaco dopo il cenone della vigilia, a panza piena. Ma fai lo sportivo, quello che le rampe le sale a falcate di due gradini alla volta e anche con 4 buste della spesa, sai quelle di plastica reciclata che fa tanto “salviamo l’ambiente” ma che poi basta l’angolo della confezione delle uova per spaccarle esattamente a metà, senza concederti quell'accenno di attimo per tentare di salvare almeno i pomodorini ciliegini che una volta che iniziano a rotolare, lo sappiamo, è davvero la fine. Scivolano 80 euro di spesa giù per le scale e le banane sul pianerottolo ormai si sono già ammaccate in men che non si dica eppure le avevi toccate tutte, al supermercato, per prendere le più dure. Ci avevi messo mezz'ora. Una mezz'ora utilissima buttata al vento. Il barattolino di yogurt che puntualmente si spacca e poi quindi devi mangiarlo il giorno stesso anche se non ti va. E proprio nel momento in cui ti chini a 90 mormorando strane parole simili a parolacce appena inventate, sperando che nessuno in quel momento apra la porta, con la borsa che scivola dalla spalla, le chiavi che si sono incastrate ad un filo della giacca tirandolo e pensi No ti prego la giacca no l’ho pagata troppo, il cellulare la cui tastiera è stata per errore attivata dai movimenti maldestri e che ora sta chiamando un numero fatto di asterischi e punti esclamativi, continui la tua ascesa calibrando i passi con estrema fatica perché il prossimo passo sbagliato potrebbe squarciare la seconda busta mentre la vena della fronte gonfiatasi nel momento del disastro in cui ti sei piegato e tutto il sangue è andato alla testa che ora ti gira e vedi i puntini neri, sta lentamente riassorbendosi portando via dal tuo viso quel colore viola blu tipico di chi sta troppo a testa in giù . Questa è una fobìa. Analizziamola: non sappiamo proprio cosa dire, dopotutto chi ha un argomento che duri 3 o 4 piani? Pensaci.Impossibile. Oppure ci sta antipatico il vicino, ci sentiamo in colpa perché aspettiamo che vada a letto per buttargli nel giardino la sporcizia del nostro balcone, ogni sabato invitiamo a casa gente che urla e abbiamo paura di un suo rimprovero, il nostro cane abbaia troppo, i suoi bambini con i loro pianti isterici ci distraggono tutto il giorno dalla pace che vorremmo? Quali sono le reali motivazioni che ci spingono ad avere la paura del vicino di casa? Forse all’ultima riunione di condominio gli abbiamo dato dell’idiota o sappiamo che la moglie riceve a casa un pò troppe visite ma non possiamo osare.
Scendi dalla macchina e se vedi che anche lui sta scendendo e sta dirigendosi verso il portone, rientri nella tua utilitaria e fai tutto quello che non faresti mai tipo decidere di fare le pulizie in quel preciso istante magari svuotando il posacenere pieno di carte di merendine, sigarette e scontrini oppure dai un’occhiata ai sedili posteriori e decidi di sistemare quelle due buste che lascerai lì o magari sistemare il santino che tieni incastrato nello specchietto retrovisore e che cade ad ogni curva. Tutte azioni assolutamente inutili per ingannare il tempo, dar modo a lui di arrivare all’ascensore da solo e raggiungere il suo piano. Via libera. Finalmente puoi abbandonare le finte mosse utili all’interno del tuo veicolo e correre verso le scale. Oltretutto te la stai facendo sotto ma questo ed altro pur di non sentir la costrizione di dire “buonasera tutto bene? “si, grazie e lei?” “si si tutto bene, freddino oggi….eh si la primavera sta tardando” “si in ufficio tutti malati, un disastro” “eh si”. Gelo. Ecco, è quel gelo che segue ad una conversazione tanto rapida quanto formalmente disinteressata e di circostanza che ci inibisce.
Poi però ci piace dire che siamo socievoli, aperti e genuini e che amiamo parlare col primo che incontriamo e magari aiutarlo ad attraversare la strada e “non sai ho passato un’ora con una vecchietta sulla panchina, bellissimo, mi ha molto arricchita. Dovremmo farlo tutti. Fa bene al cuore, all’anima, sono tornata a casa che mi sentivo proprio bene, in pace col mondo. Povera vecchina chissà com’era sola…” - “ si guarda anche io sono aperta e solare, molto sensibile e empatica, mi piace ascoltare le persone e fare beneficenza, a proposito, vado in Africa dai bambini di colore distrutti da malattie e fame. Vado ad aiutarli, solo lì mi sento utile. Non vedo l’ora, vado con la parrocchia e farò tante foto. Sento nel cuore questa solidarietà con il prossimo, sento di doverlo fare. In Africa.”.


Dopotutto vado fin lì perché credo che nel mio condominio tutti stiano bene. Credo.


"Non si scappa mai dai luoghi, né dalle persone, né tantomeno dalle circostanze. Si scappa da sé stessi."

Alda Merini

L'inizio di un viaggio

Ecco, ed ora? O come direbbe G "e ora?", perché a lei non piace la "d" dopo la "e". L'idea è stata immediata, spontanea e molto semplice.Piuttosto banale, visti i miliardi di blog che vengono aperti da chiunque e poi non curati, non seguiti e morti lì. Perché il mio dovrebbe essere più interessante o diverso? Infatti probabilmente non lo sarà affatto. Ma G mi ha incoraggiata ed ora subisco tutto l'imbarazzo della pagina vuota davanti ai miei occhi che sembra volermi dire "ora sono davvero affari tuoi, io non c'entro niente.". Non so bene cosa dirti, quando ho pensato a te mi sono immaginata mille cose, credimi, davvero una valanga e anche il titolo che ti ho dato è nato rapido e senza il minimo sforzo ma è giunto il momento di raccontarti una storia ed io mi sento confusa. Dovrei fare prima ordine nel cervello? Troppo faticoso. Adotto, quindi, un brain storming? Troppo incomprensibile a chi non è me. Dal 2 Marzo 2015 sono di nuovo disoccupata quindi potrei proprio iniziare da questo argomento, che vi assicuro, essere tanto macabro quanto comico. Iniziamo coll'ammettere che, se voglio darti vita e amore come lo sto dando al mio ibiscus che resiste da anni sul mio balconcino nonostante chi me lo abbia regalato abbia affilato le sue spade migliori per trafiggermi l'animo, necessito urgentemente di un nuovo pc pratico, leggero, con ventola funzionante. Accolgo volentieri tutti i consigli che vorrai darmi in termini di modello e prezzo. Sono appassionata di foto ed immagini di cui però devo innamorarmi a primissima vista quindi ti nutrirò anche di queste, ogni qualvolta mi capiteranno tra le mani. Le parole non saranno sempre e solo le mie perché voglio dissetarti di citazioni che scelgo con estrema attenzione e che hanno a che fare col mio mondo interiore, che poi è il tuo. Ti coprirò con alcune musiche o canzoni, appena avrai freddo. Non citerò il nome di nessuno limitandomi ad una lettera puntata: potrebbe essere l'iniziale del vero nome oppure no. Ti darò sempre del TU perché sei tu che leggi. Chi mi conosce sa che potrei abbandonarti da un momento all'altro per mancanza di ispirazione, forza, tenacia e costanza. Scusami sin da subito ma non mettermi limiti e lascia che io sia me stessa, per favore, in tutto e per tutto. Non farmi sentire in colpa se ti trascurerò perché sai che il getto non sarà quotidiano e sempre interessante o costruttivo. Da parte mia non potrò mai obbligarti a leggermi ma se ti appassionerai a queste parole posso prometterti un cammino lungo e avvolgente. Fammi tutte le domande che vuoi ed io risponderò con attenzione. Buon compleanno e felice nascita.
«La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quello che si era visto in estate, vedere di giorno quel che si era visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ri¬tornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre».

José Saramago