...che poi magari accade il miracolo per cui qualcuno si sentirà meno solo. Vassapé. FB: @aldiladelloltreancora
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mercoledì 9 dicembre 2020
venerdì 4 dicembre 2020
Mare d'infanzia
Tornare e non sentire tanto odore di sabbia, mare, alghe, scogli o pesce quanto quello di un tempo passato, molto passato. Odore di pomodori col riso a pranzo dopo una mattinata in spiaggia. Odore di “Valeria, prima mangi poi torni a giocare”, “vieni che ti asciugo”, “Amore di nonna, tieni mille lire, vai a prenderti il gelato e tieni il resto per il giornalino”, “Chicca, non stare troppo al sole”, “vieni tesoro che ti metto la crema!”, “Valeria, non allontanarti”, “resta vicino alla riva, devo vederti.”, “se ti allontani mi arrabbio eh!”, “dove hai messo la paletta, amore?”, “altri 5 minuti in bici poi torni e fai la doccia prima di cena!”, “chicca, hai fatto i compiti dopo pranzo?”, “vieni che ti pettino, dai”, “càmbiati il costume che questo è bagnato e ti raffreddi.”, “corri che la sabbia scotta!”, “bevi piano che è ghiacciata”, “seguimi in bici, amore, non distrarti, attenta alle macchine”, “andiamo a passeggiare in acqua che fa bene alle gambe?”, “arriviamo alla torre e ci mettiamo la creta in viso?”, “ti sei asciugata i capelli?”, “dopo il cornetto e il succo posso fare il bagno, mamma?”, “papà, ho freddo e le dita grinzose...”, “papi,ho sete...mi compri il ghiacciolo alla coca-cola ?”, “papi andiamo a prendere i cocomeri in quel campo abbandonato?”, “mamma, ho paura delle alghe!”, “nonna mi compri la pizza bianca quella calda?”, “chicco posso venire con i tuoi amici?”, “ giochiamo?”, “mammaaaa, mi dà fastidioooooooo, gli dici qualcosaaaaaa!?!?”, “dopo cena andiamo in piazzetta ti pregoooo!”, “porta un giacchino, Valeria, che stasera c’è venticello...”, “mamma mi rifai la coda?”.
Poco prima dell'infelicità
Una gelida alba.
Tra le mani una tazza di caffè lungo bollente.
Viso pallido e capelli raccolti.
Lei ancora ubriaca di sonno.
Pezzetti di mela sul davanzale della finestra: segnale del passaggio quotidiano di un paio di passerotti affezionati.
Pensieri sospesi, almeno per il tempo del caffè.
Immancabile ringraziamento per l'esserci, anche oggi. Non so chi ringraziare quindi prendo un grazie e lo lascio andare come un palloncino che mi scappa dalle mani. Arriverà a chi dovrà arrivare. Il silenzio terapeutico che si interromperà appena riaccenderò il cellulare. Luci di casa spente. Gli occhi vedono bene e la penombra accompagna il risveglio senza traumi. Una coperta grigio perla che abbraccia e rassicura, come quando dopo 9 mesi di tepore ti tirano fuori di lì e ti avvolgono subito in un telo morbido e profumato per poi adagiarti tra le braccia ancora calde di sudore e sforzo di chi ti ha creato dal nulla. Non ce ne accorgiamo ma anche da adulti ricerchiamo le stesse antiche sensazioni di un tempo di cui non abbiamo neppure memoria. Ma ora deve iniziare la giornata.
L'armatura è di là. Vado a cambiarmi.
mercoledì 4 novembre 2020
A te
Ricordi la prima volta che ci siamo visti?
Ci siamo scelti al primo sguardo e dopo pochi giorni già eri con me, nella nostra casa. Si, nostra.
Eri lì a guardarmi, immobile, nel tuo angolo di luce preferito, compiaciuto e sempre accogliente. Mai un’espressione scomposta.
Mi hai sorretta quando esausta, dopo tanto lavoro, correvo verso di te abbandonandomi al tepore della nostra intimità che nessuno ha mai potuto scalfire.
Sempre uniti, sempre insieme, sempre noi.
Hai assistito ai miei pianti interminabili e alle mie risate più memorabili e non ti sei mai arrabbiato, quando come una bambina, mi sono sporcata mangiando.
Hai sopportato per 10 lunghissimi anni i miei folli orari notturni e sei rimasto sveglio, cullandomi e coccolandomi nel silenzio della notte che ci ha sempre fatto compagnia con la sua calma e le sue infinite riflessioni a cui solo il sonno poteva dare tregua per qualche ora.
Tu hai assistito alle evoluzioni dei miei amori. Hai ascoltato e visto ogni cosa, ogni persona e poi hai gioito con me oppure hai trascorso tanto tempo a rincuorarmi. Tu, solo tu, non sei mai andato via. Non sei mai uscito da quella porta né dalla mia vita. Sei sempre rimasto. Solido.
E lei? Si, la nostra piccola cucciola. L’hai coccolata per una vita intera e lei ha ricambiato sin da subito affidandosi completamente a te e alla tua sapiente morbidezza. Ti ha difeso ringhiando e mordendo chiunque osasse avvicinarsi. Ti ha riempita del suo odore, ti ha sempre riconosciuto, non ti ha mai rinnegato. La vostra è stata una tenerissima storia di amore puro e a volte, devo esser sincera, ho provato una certa gelosia. Non eri tutto per me, non lo sei mai stato. Mi sentivo di troppo, tra di voi. Percepivo nettamente di avere poco spazio. Lei, seppur piccina, lo occupava tutto e tu la lasciavi fare. Ma vi ho guardati tutti i giorni per ore, spesso mi sono incantata nell’osservare attentamente quanto foste uniti e complici e benché dovessi sempre farmi un pò da parte, ero comunque tanto felice e mi sembrava di non aver bisogno di altro per stare bene.
Ti ricordi le feste? Soprattutto i primi tempi...quanto ci siamo divertiti? Erano belle, rumorose e piene piene di amici. Adoravi la mia musica anche se non hai mai voluto ballare, neanche mezzo passo. Così austero e contegnoso. Riguardavo qualche foto proprio una settimana fa. Eri sempre disponibile e centrato. Ho sempre invidiato il tuo carattere: irremovibile ma sempre capace di far sentire a proprio agio chiunque volesse tentare un seppur timido approccio con te.
E sorrido ancora se ripenso a quando una volta ti ho vestito di nero. A me sembravi così carino! Eppure quella fase dark è durata ben poco: non ti piacevi e hai sempre e solo amato il rosso, con qualche piccola variante e tutti i tuoi accessori di classe. Eleganza e sobrietà ti hanno sempre contraddistinto.
Grazie per la compagnia, per il tuo silenzioso ma testardo esserci. Grazie perché non mi hai mai detto che ti pesavo e e sei stato avvolgente nelle rigide giornate d’inverno e ristoratore nei giorni più bollenti. Quante albe e tramonti abbiamo visto? Un’infinità. E quante foto ci siamo scattati? Impossibile contarle.
Perdonami se quando spesso sono dovuta partire nel corso di questi lunghi 10 anni ti ho lasciato qui. Ma ti ho portato sempre nel cuore, con me. E sono sempre tornata. Grazie per avermi aspettata ogni volta.
Ci siamo tanto amati. Ma proprio immensamente.
No, non ti sto lasciando. Si, ora c’è l’altro, lo so. Ma non sei stato rimpiazzato: è solo un rapporto di convenienza e comodità.
Mi hanno detto “dìsfatene!”. Invidiosi.
Non sanno che nonostante anche tu ora sia partito destinazione una nuova casa, noi non ci lasceremo davvero mai.
Ciao, mio adorato vecchio divano. È stato bellissimo averti.
tua fedelissima.
lunedì 12 ottobre 2020
L'arte di saper attendere.
Non importa quanto darai
quanto ti spenderai
quanto ascolterai
quanto ti sforzerai
quanto perdonerai
quanto ti adatterai
quanto dimostrerai
quanto costruirai
quanto gioirai
quanto soffrirai
quanto farai
quanto aspetterai
quanto tollererai
quanto pazienterai
quanto ci crederai
Troverai sempre qualcuno che in un batter di ciglia sarà pronto a rinunciare a te, con una facilità fino ad allora sconosciuta, ferendoti senza scomporsi.
Ma tu continua a dare, spendere, ascoltare, sforzarti, perdonare, adattarti, dimostrare, costruire, gioire, soffrire, fare, aspettare, tollerare, pazientare, crederci.
Non cedere. Ricerca la bontà, l'umanità, la passione, la coerenza.
Il tuo momento perfetto lo stai costruendo ora. Sta arrivando.
Siediti, chiudi gli occhi, respira profondamente.
Fatti trovare pronta dall'incontro che guarirà ogni cupa certezza.
L'anagramma di.
Ti devo dire una cosa: non riesco più a deglutire.
Neanche la saliva. E pure il respiro è faticoso.
Ho fatto le analisi e la patologia è cuore in gola.
Le prospettive di vita sono lunghe ma pessime, se non inizio subito la cura.
Eh, com’è possibile?…Mi sono ammalata silenziosamente, nel corso degli anni, senza particolari sintomi, permettendo probabilmente a voci, immagini e pensieri di permearmi.
Ti spiego: si è venuta a creare quella che in gergo chiamano nebulosa, tra sterno e fegato. Verosimilmente ha iniziato a comparire molti anni fa sotto forma di impercettibile vapore, invisibile come un soffio, ma a forza di cose non dette ha iniziato a solidificarsi, aumentando di dimensione, facendosi largo nel torace e spingendo il cuore verso su. Ora, lo sappiamo che il cuore non passa per l'esofago e neppure per la faringe ed ecco quindi che si incastra e stronca il respiro.
Peraltro è un cuore ispessito dal dolore che provoca il silenzio, il non detto e ad ogni battito corrisponde un conato. La sensazione è quella di doverlo vomitare, si, ma dicono che sia un buon sintomo: il primo passo verso la guarigione: rigettandolo, infatti, il respiro tornerebbe regolare, la deglutizione di una parola mormorata o di una carezza inattesa sarebbe del tutto automatica poiché una nuova ossigenazione ridimensionerebbe le paure andando a sostituire i tessuti vecchi degli organi interni, ormai lisi per via dell'angoscia, con nuove membrane di quiete. Si verrebbe a creare un ambiente più che favorevole per la nascita di un cuore totalmente rinnovato.
La lastra parla chiaro: al posto del cuore, ora, il vuoto.
La nebulosa è fitta di cose non uscite dalla bocca. Cose soffocate da un sorriso abbozzato, di quelli che tirano le mascelle e fanno digrignare i denti.
Questa che vedi è una fitta rete indistricabile di :
"sono fatta così, lasciatemi stare",
"ti manco?"
"mi dispiace tanto ma non mi fido più di te."
"vedervi invecchiare mi fa così incazzare!"
"abbracciami, per favore"
"ma perché non mi ami?"
"puttana la miseria! Questa solitudine è insopportabile.", “lasciatemi sola!”
"aiutami!" sono esausta", "ho paura"
"e se sparissi?"
“vedi…è che per me tu sei…”
Capisci ora? La situazione è gravemente compromessa.
Mi hanno prescritto queste iniezioni di Agricogo, ché poi è l'anagramma di coraggio, il suo principio attivo, che vuol dire cuore a proprio agio.
C’hai fatto caso che di solito alle medicine danno il nome di ciò che ti manca?
Sul bugiardino ho letto che l'obiettivo dovrebbe essere quello di rigettare il vecchio cuore e fare largo ad uno nuovo lì dove si trova normalmente e dove ha lo spazio necessario per battere senza pause o extrasistole, puntando proprio sulle proprietà antinfiammatorie e lenitive del coraggio, di modo che la nebulosa si sfibri, perdendo potenza e venga spinta verso il basso fino alla fine dell'intestino, dalla resilienza dell'animo ormai tirato a lucido, per poi essere evacuata.
Gli effetti collaterali sono ancora oggetto di accesissimi dibattiti: alla lunga si dice funzioni ma i primi sintomi negativi potrebbero essere il completo isolamento, il cappio al collo dei sensi di colpa, il giudizio impietoso, il terrore di esporsi, la paura di perdere una persona, l'accanimento altrui su qualcuno che ora sembra esser diverso.
Che poi non è diverso. Sta solo guarendo…
Comunque devo intanto prendere appuntamento col medico: prima di iniziare questo ciclo di iniezioni mi vogliono sottoporre ad un esame piuttosto delicato e molto invasivo: è l’esame di coscienza. Senza anestesia.
Hai presente? No…no, no ma infatti era per dir…no, no ma è normale, è che non lo fa nessuno e pure quei pochi non ne escono completamente intatti.
In pratica entrano con un lungo tubicino sin dentro lo stomaco accartocciato, che dicono essere la culla di tutte le nostre emozioni e iniziano a riposizionare ogni cosa al proprio posto. Dicono si avverta un fastidio di quelli…no, non di quei fastidi belli che senti quando ti piace tanto una persona, ad esempio. E’ un dolore diverso. Tipo il dolore di quando la perdi, questa persona, e lasci che vada via e accetti che sia così.
E’ un dolore diverso.
L’esame dura molto e per i risultati ci vorranno parecchi giorni ma se tutto andrà come deve, le iniezioni di coraggio saranno assolutamente più sopportabili e comunque io sono pronta al dolore, devo rischiare. Starò meglio e forse i primi tempi qualcuno non mi riconoscerà ma anche questa sarà una cosa utile per capire chi può e vuole restarmi accanto, senza perder tempo.
Vedi, è che quest’accondiscendenza così educata provoca un’artrosi della schiena che si curva obbligando lo sguardo verso il basso invece io voglio guardarvi negli occhi.
Tutti.
E dirvi cosa sento.
E ridere a crepapelle e poi disperarmi quando e quanto mi pare senza regole e senza scandalizzare chi ha conosciuto solo la mia diplomazia e sentirmi viva a testa alta e respirare di nuovo e poi lamentarmi di tutto, oh si, che soddisfazione, lamentarsi di tutto!
E riuscire ad ingoiare un ti amo così come un addio e accettare il tempo e le partenze e i luoghi come le stazioni o gli aeroporti- che non li posso sopportare-
e anche le vittorie senza falsa modestia o le sconfitte senza umiliazione e anzi tuffarmici, negli errori.
E ricevere. Si, ricevere. Non solo dare .
Perdermi in un abbraccio e poi respingerlo subito dopo, dire tutto ed il contrario di tutto, nello stesso momento, nella stessa frase senza per forza passare per pazza. Ma perché!?
E fare largo alla confusione e all’imperfezione e agli sbagli e dimenticare i rimorsi
e accettare invece i rancori perché io non sono Dio, io non devo perdonare se non voglio!
Scusa.
No, no scusa. Perché scusa?
Anzi, aspetta. Lo chiamo proprio subito: “ Dottore, buongiorno, sono io. Salve, si. Volevo sapere se potevo prendere appuntamento in settimana per l’esame di coscienza. Si, sono pronta.
Domani? Di già….si, si, certo…sono pronta. Alle 9, va bene, perfetto. Grazie, a domani. Arrivederci. Di nuovo.”
Domani, di già?
/co·ràg·gio/
1.Forza d'animo connaturata, o confortata dall'altrui esempio, che permette di affrontare, dominare, subire situazioni scabrose, difficili, avvilenti, e anche la morte, senza rinunciare alla dimostrazione dei più nobili attributi della natura umana: un c. da leone; dar prova di c. di fronte a una disgrazia; andare con c. incontro alla morte; avere il c. di dire la verità.
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