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lunedì 12 ottobre 2020

L'anagramma di.

Ti devo dire una cosa: non riesco più a deglutire.
Neanche la saliva. E pure il respiro è faticoso.
Ho fatto le analisi e la patologia è cuore in gola.
Le prospettive di vita sono lunghe ma pessime, se non inizio subito la cura.
Eh, com’è possibile?…Mi sono ammalata silenziosamente, nel corso degli anni, senza particolari sintomi, permettendo probabilmente a voci, immagini e pensieri di permearmi.
Ti spiego: si è venuta a creare quella che in gergo chiamano nebulosa, tra sterno e fegato. Verosimilmente ha iniziato a comparire molti anni fa sotto forma di impercettibile vapore, invisibile come un soffio, ma a forza di cose non dette ha iniziato a solidificarsi, aumentando di dimensione, facendosi largo nel torace e spingendo il cuore verso su. Ora, lo sappiamo che il cuore non passa per l'esofago e neppure per la faringe ed ecco quindi che si incastra e stronca il respiro.
Peraltro è un cuore ispessito dal dolore che provoca il silenzio, il non detto e ad ogni battito corrisponde un conato. La sensazione è quella di doverlo vomitare, si, ma dicono che sia un buon sintomo: il primo passo verso la guarigione: rigettandolo, infatti, il respiro tornerebbe regolare, la deglutizione di una parola mormorata o di una carezza inattesa sarebbe del tutto automatica poiché una nuova ossigenazione ridimensionerebbe le paure andando a sostituire i tessuti vecchi degli organi interni, ormai lisi per via dell'angoscia, con nuove membrane di quiete. Si verrebbe a creare un ambiente più che favorevole per la nascita di un cuore totalmente rinnovato.
La lastra parla chiaro: al posto del cuore, ora, il vuoto.
La nebulosa è fitta di cose non uscite dalla bocca. Cose soffocate da un sorriso abbozzato, di quelli che tirano le mascelle e fanno digrignare i denti.
Questa che vedi è una fitta rete indistricabile di :
"sono fatta così, lasciatemi stare",
"ti manco?"
"mi dispiace tanto ma non mi fido più di te."
"vedervi invecchiare mi fa così incazzare!"
"abbracciami, per favore"
"ma perché non mi ami?"
"puttana la miseria! Questa solitudine è insopportabile.", “lasciatemi sola!”
"aiutami!" sono esausta", "ho paura"
"e se sparissi?"
“vedi…è che per me tu sei…”
Capisci ora? La situazione è gravemente compromessa.
Mi hanno prescritto queste iniezioni di Agricogo, ché poi è l'anagramma di coraggio, il suo principio attivo, che vuol dire cuore a proprio agio.
C’hai fatto caso che di solito alle medicine danno il nome di ciò che ti manca?
Sul bugiardino ho letto che l'obiettivo dovrebbe essere quello di rigettare il vecchio cuore e fare largo ad uno nuovo lì dove si trova normalmente e dove ha lo spazio necessario per battere senza pause o extrasistole, puntando proprio sulle proprietà antinfiammatorie e lenitive del coraggio, di modo che la nebulosa si sfibri, perdendo potenza e venga spinta verso il basso fino alla fine dell'intestino, dalla resilienza dell'animo ormai tirato a lucido, per poi essere evacuata.
Gli effetti collaterali sono ancora oggetto di accesissimi dibattiti: alla lunga si dice funzioni ma i primi sintomi negativi potrebbero essere il completo isolamento, il cappio al collo dei sensi di colpa, il giudizio impietoso, il terrore di esporsi, la paura di perdere una persona, l'accanimento altrui su qualcuno che ora sembra esser diverso.
Che poi non è diverso. Sta solo guarendo…
Comunque devo intanto prendere appuntamento col medico: prima di iniziare questo ciclo di iniezioni mi vogliono sottoporre ad un esame piuttosto delicato e molto invasivo: è l’esame di coscienza. Senza anestesia.
Hai presente? No…no, no ma infatti era per dir…no, no ma è normale, è che non lo fa nessuno e pure quei pochi non ne escono completamente intatti.
In pratica entrano con un lungo tubicino sin dentro lo stomaco accartocciato, che dicono essere la culla di tutte le nostre emozioni e iniziano a riposizionare ogni cosa al proprio posto. Dicono si avverta un fastidio di quelli…no, non di quei fastidi belli che senti quando ti piace tanto una persona, ad esempio. E’ un dolore diverso. Tipo il dolore di quando la perdi, questa persona, e lasci che vada via e accetti che sia così.
E’ un dolore diverso.
L’esame dura molto e per i risultati ci vorranno parecchi giorni ma se tutto andrà come deve, le iniezioni di coraggio saranno assolutamente più sopportabili e comunque io sono pronta al dolore, devo rischiare. Starò meglio e forse i primi tempi qualcuno non mi riconoscerà ma anche questa sarà una cosa utile per capire chi può e vuole restarmi accanto, senza perder tempo.
Vedi, è che quest’accondiscendenza così educata provoca un’artrosi della schiena che si curva obbligando lo sguardo verso il basso invece io voglio guardarvi negli occhi.
Tutti.
E dirvi cosa sento.
E ridere a crepapelle e poi disperarmi quando e quanto mi pare senza regole e senza scandalizzare chi ha conosciuto solo la mia diplomazia e sentirmi viva a testa alta e respirare di nuovo e poi lamentarmi di tutto, oh si, che soddisfazione, lamentarsi di tutto!
E riuscire ad ingoiare un ti amo così come un addio e accettare il tempo e le partenze e i luoghi come le stazioni o gli aeroporti- che non li posso sopportare-
e anche le vittorie senza falsa modestia o le sconfitte senza umiliazione e anzi tuffarmici, negli errori.
E ricevere. Si, ricevere. Non solo dare .
Perdermi in un abbraccio e poi respingerlo subito dopo, dire tutto ed il contrario di tutto, nello stesso momento, nella stessa frase senza per forza passare per pazza. Ma perché!?
E fare largo alla confusione e all’imperfezione e agli sbagli e dimenticare i rimorsi
e accettare invece i rancori perché io non sono Dio, io non devo perdonare se non voglio!
Scusa.
No, no scusa. Perché scusa?
Anzi, aspetta. Lo chiamo proprio subito: “ Dottore, buongiorno, sono io. Salve, si. Volevo sapere se potevo prendere appuntamento in settimana per l’esame di coscienza. Si, sono pronta.
Domani? Di già….si, si, certo…sono pronta. Alle 9, va bene, perfetto. Grazie, a domani. Arrivederci. Di nuovo.”
Domani, di già?


/co·ràg·gio/
1.Forza d'animo connaturata, o confortata dall'altrui esempio, che permette di affrontare, dominare, subire situazioni scabrose, difficili, avvilenti, e anche la morte, senza rinunciare alla dimostrazione dei più nobili attributi della natura umana: un c. da leone; dar prova di c. di fronte a una disgrazia; andare con c. incontro alla morte; avere il c. di dire la verità.
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