Era tutto così strano, stamattina. Il freddo di Dicembre ad Ottobre, il cielo conteso tra sole, nuvole scure e gocce pesanti. Un arcobaleno prepotente seppur pallido. I palazzi illuminati a metà che sembrano fluttuare. I volti addormentati nelle macchine dirette verso i doveri quotidiani e i pensieri ancora anestetizzati dal respiro profondo di corpi che hanno ripreso a carburare da poco. Quando il respiro si farà faticoso, vorrà dire che i pensieri avranno ritrovato lucidità e non vedremo l’ora di riaddormentarci perché crediamo sempre di essere soli nel dolore ma siamo proprio tanti e tutti simili. Siamo molto più soli nella serenità.
Ed il traffico non fa rumore, poco dopo l’alba. Forse un empatico accordo non deciso perché poco dopo il sonno ancora non si è troppo aggressivi.Sono sempre indecisa se ascoltare un po’ di musica o no. Penso a chi mi manca, a chi voglio vedere e sentire e nell’arco della giornata prendo l’impegno con me stessa di pareggiare ogni conto perché se domani dovessi morire voglio che tutto sia chiaro.
E conto i giorni che mancano all’ultimo anelito di Maggio e mi sembrano tantissimi e forse va bene così perché questa voglia di arrivare alla fine non è vita. È tempo che perdiamo. E allora mi sforzo di trovare il buono anche nelle giornate come questa. Giornate infinite, macigni enormi, tracce di vuoto nel cuore.
Arrivo a lavoro e sempre, prima di scendere dalla macchina concedo agli occhi una carezza di rimmel e minuti di assoluto silenzio e profondi respiri.
Poi puntualmente mi chiedo: come è possibile parlarsi e non capirsi?
Accelero il passo prima che il cuore abbia il tempo di rispondere.